Elezioni Europee, non solo Giorgia: "Votateci per nome" (2024)

La premier e leader di Fratelli d’Italia ha introdotto la “preferenza confidenziale”. Tutto nacque con un comizio, e poi con un libro. E i precedenti? Da Bettino a Beppe, breve storia semiseria del cambio nome

Giorgia Meloni detta “Giorgia”. La grande, clamorosa novità delle prossime elezioni Europee, rischia d’essere questa: la nostra premier che si candida facendosi chiamare solo per nome, il cognome come un fastidio, un orpello, il nome che basta e che avanza, chiamatemi Giorgia e votatemi, sarò la vostra Giorgia (però qui in Italia, e per diventare – possibilmente – più potente di adesso: perché poi, come sappiamo, a Bruxelles non andrà mai). Il Viminale ha prontamente detto sì, certo, chiaro che si può fare. Non esiste alcun ostacolo tecnico-giuridico – foto | video

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Fiorello e lo sfottò su Giorgia Meloni che non sa dire “antifascista”

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DUE SOLI CONSIGLIERI FIDATI – Ma infatti il problema – volendo – è politico: questa trovata della preferenza confidenziale strappa, infatti, via ogni forma classica di liturgia democratica, rivoluziona l’idea di partito, lo rende superfluo: inutili i programmi, i ragionamenti, non serve più nemmeno uno slogan, perché deve bastare, dovrà bastarci un nome proprio, il suo. Giorgia. Che così personalizza, ed estremizza, riducendo tutto solo e soltanto a una voce. E a un’immagine. La sua.
È inutile chiedersi come e quando la nostra presidente del Consiglio abbia preso questa decisione. Dovete sapere che per le questioni più delicate, quelle strategiche, Giorgia parla e si confronta esclusivamente con due persone: l’adorata sorella Arianna e il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, il mitico Fazzo, amico da una vita, un uomo ruvido e fedele, esperto e pragmatico, l’unico di cui continua a fidarsi da quando, entrata a Palazzo Chigi per il grande appuntamento con la Storia, suo e della destra italiana, ha capito di avere a disposizione un establishment modesto e pasticcione.

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TUTTO ÈNATO SUL PALCO - Comunque: una fonte attendibile sostiene possa essere molto probabile che, con Arianna e Fazzo, Giorgia sia innanzitutto tornata indietro con la memoria al pomeriggio del 19 ottobre 2019, a Roma, lì sul palco di piazza San Giovanni, dove si teneva la manifestazione unitaria del centrodestra convocata da Matteo Salvini per protestare contro la nascita del secondo governo Conte, quello a guida giallorossa (e già: all’epoca le convocava lui, Salvini, le iniziative; la politica è davvero un soffio, è crudele, se pensate che adesso, in caduta libera nei sondaggi, per cercare di razzolare qualche voto almeno nei territori più nerastri del Paese, il leader leghista fa campagna elettorale a braccetto con quel generale Roberto Vannacci, fan di Mussolini e filo russo, vabbé).
Comunque, riprendiamo la Moleskine con alcuni appunti di cronaca dell’epoca: c’è scritto che lei, la Meloni, sale sul palco sicura e sorridente. Considerate che il palco è la sua zona più confortevole, la tana preferita. Lassù, dietro al microfono, sa sempre metterci mestiere e passione, e poi frulla tutto con il suo innegabile talento. Però quel pomeriggio è particolarmente in palla e se ne esce con una frase. Quella frase. La scandisce: “Io sono Giorgia! Sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana! Non me lo toglierete”. La gente applaude, l’atmosfera si scalda. Però niente lascia presagire ciò che, già una manciata di ore dopo, divamperà.

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SLOGAN VIRALE – Il web, infatti, si appropria della frase, che viene remixata (molto bene, bisogna ammettere). Diventa una roba virale pazzesca. Finisce dentro migliaia di WhatsApp, saltando di cellulare in cellulare, e poi la passano alle radio, la ballano in discoteca: vengono intervistati esperti di comunicazione, rapper di professione, direttori di giornale. Che succede?
Non pochi osservatori, oggi, convengono: la scalata al trionfo elettorale della Meloni comincia proprio quel pomeriggio, su quel palco. Nell’immaginario collettivo, la Meloni diventa – ecco, ci siamo, il cerchio comincia a chiudersi – “Giorgia”. È un nome che diventa familiare. Entra, accattivante, nelle case. C’è Giorgia. Ascoltiamoci un po’ Giorgia.

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PARTE L’ONDA LUNGA - Quando lei compare nei talk, gli autori televisivi si accorgono che le curve di ascolto crescono. Lentamente, ma con una progressione inarrestabile, pure Fratelli d’Italia inizia a crescere nei sondaggi. La miccia è accesa. Ora non devono farla spegnere.
Fazzolari suggerisce: “Gio’, io dico che dovresti scrivere un libro”. Fazzo immagina qualcosa che tenga insieme la sua idea di politica e la sua biografia (abbastanza complessa, ma anche attraente, con il padre che abbandona le sorelline Meloni, imbarcandosi su un veliero diretto alle Baleari). Quelli della Rizzoli annusano il colpaccio. Quanto al titolo, nemmeno a parlarne. C’è già: Io sono Giorgia. Un botto. Copie vendute a vagoni. Un caso editoriale (certo, in Italia, dove misteriosamente i libri dei politici comunque vendono sempre abbastanza, le librerie magari chiudono, milioni di italiani non sanno chi sia Fenoglio, ma se scrive un libro Renzi, la gente lo cerca e se lo compra).
Quello della Meloni è un buon libro, nel genere. I giornali lo saccheggiano rubando aneddoti e curiosità. Aveva ragione Fazzo: serviva a tenere la fiammella accesa e, adesso, ecco la candidatura alle Europee, terza tappa di un percorso. Vedremo se si tratta della tappa finale. Certo la suggestione è enorme. Giorgia Meloni detta “Giorgia”.

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PRIMO E UNICO CASO - Non esistono precedenti. È vero che anche altri leader italiani, in passato, fecero ricorso al “detto” sulla scheda elettorale. Accadde a Bettino Craxi e a Marco Pannella, ma loro, all’anagrafe, erano registrati con nomi diversi da quelli con cui facevano politica: rispettivamente Benedetto e Giacinto. Situazione analoga per il sindaco di Milano: Giuseppe Sala detto “Beppe”, perché tutti lo chiamano Beppe. Ma siamo dentro esigenze di chiarezza. O in miserabili manfrine: a Catania, un certo Giuseppe Baudo, sulla scheda fece aggiungere “detto Pippo”. Nel caso della premier, non bisogna aver studiato con Giovanni Sartori per capirlo, sprofondiamo in una scena completamente diversa. Che, ovviamente, rischia di diventare un clamoroso precedente.
Del resto, guardate: appena la notizia è uscita, appena ci siamo cominciati a interrogare su questa Giorgia detta Giorgia, subito, ma proprio subito, al Nazareno, nella sede del Pd, hanno iniziato a chiedersi: «E se pure noi facessimo “Elly detta Elly?”». Allora uno ha alzato la mano. «Beh, però forse dovremmo togliere la “y”, no?». Poi è intervenuto, da Napoli, Vincenzo De Luca, il caustico governatore Dem della Campania: «Siamo in una fase di grande creatività della politica nazionale… sebbene solo Leonardo si chiamava con il nome…» (in realtà, anche Fidel: ma la Meloni non deve essersi ispirata a lui, forse).

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Fabrizio Roncone

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